Gazzetta del Mediterraneo

Corrado Baglieri, i ricordi di un calciatore di professione

Corrado Baglieri, i ricordi di un calciatore di professione
07 settembre
09:48 2017

Partito nei primi anni 80 dalle giovanili della Roma, l’attaccante di Pachino ha indossato tante maglie nell’arco della sua carriera conclusasi nel 1998.

Intervista di Sergio Taccone. “Il mio sogno di bambino l’ho realizzato: fare del calcio la mia professione”. Corrado Baglieri, classe 1965, ex giocatore professionista, padre pachinese e madre di Portopalo, apre il suo scrigno di ricordi. A cominciare da una foto che lo ritrae, appena nato, con la maglia della Juventus, la squadra del cuore di suo padre. “Le vie del pallone mi portarono alla Roma che nei primi anni 80 era la principale rivale scudetto della Vecchia Signora”.

A segnalarla fu Giuliano Sarti, l’ex portiere di Inter e Fiorentina, recentemente scomparso. “Avrei potuto fare un provino con la Lazio ma mio padre decise di aspettare la chiamata della Roma, che arrivò e tutto andò bene. Ricordo la grande emozione del primo palleggio in campo, poi un dribbling, uno scatto e una conclusione a rete. Di quel giorno mi è rimasto impresso il pianto di mia madre quando capì che sarei dovuto rimanere a Roma. Avevo 14 anni”.

Un grande salto: dalla piccola Pachino alla Capitale, dal campetto polveroso della parrocchia San Corrado, nel suo paese, al centro sportivo di Trigoria, dalla Canossa di Pachino alla Roma del presidente Dino Viola. “Fu un salto gigantesco. Le prime settimane furono dure. Mi mancavano la famiglia, la mia città, gli amici. Piangevo di continuo. Superai tutto pensando alla grande opportunità che mi si presentava per il mio futuro. Restare al mio paese significava a quei tempi o fare il pescatore o l’agricoltore. Fare del calcio la mia professione era sempre stato il mio sogno di bambino”.

Dopo essersi messo in evidenza con la “Berretti” giallorossa, firmando anche gol di elevata fattura tecnica, nel 1984 ha vinto con la Roma lo scudetto Primavera. “Grande squadra quella, allenata da Romeo Benetti e piena di giocatori che hanno avuto carriere calcistiche d’alto livello. Penso al principe Giannini, a Di Livio, Gregori, Di Mauro, Baldieri, Tovalieri e Desideri, giusto per fare alcuni nomi”.

Nella finale di ritorno lei segnò il gol che in pratica chiuse i conti. “Già, in finale superammo il Milan allenato da Fabio Capello. Dopo aver vinto di misura al Flaminio, pareggiammo 2-2 la partita di ritorno ed il primo gol lo segnai io”.

Lei era marcato da un difensore che poi ha fatto una straordinaria carriera con il Grande Milan di Sacchi e Capello. “Si, il mio marcatore era Billy Costacurta che qualche anno dopo avrebbe fatto parte della fortissima difesa della prima squadra del Milan insieme con giocatori del calibro di Tassotti, Baresi e Maldini. Nell’azione del gol riuscì con un guizzo ad anticiparlo. Ricordo la sua stizza quando si rese conto di essere stato beffato. Quella rete ci portò al titolo. Il presidente Viola ci diede un premio partita di 2 milioni di lire a testa”.

E l’esordio in prima squadra? “Liedholm, grandissimo tecnico e persona straordinaria, mi schierò in Coppa Italia contro la Reggiana. Entrai al posto di Ciccio Graziani e al primo pallone toccato piazzai un tunnel ai danni del mio marcatore, Apolloni, futura colonna difensiva del Parma. A Trigoria era molto stimolante allenarsi con campioni del calibro di Falcao, Pruzzo, Conti, Maldera, Graziani e Di Bartolomei. Il barone svedese apprezzava le mie qualità: fisico possente e capacità tecniche al di sopra della media dei giocatori della mia età. In una seduta di allenamento, su dieci tiri segnai nove gol e colsi un palo pur avendo in porta Tancredi, guardiapali titolare della Roma campione d’Italia. Più volte chiese relazioni su di me Azeglio Vicini, che allora era uno dei principali collaboratori del Ct della nazionale, Enzo Bearzot”.

Conclusa la parentesi con la Roma cominciò una sequela di esperienze in parecchie società di serie C. “Con la maglia della Nocerina vinsi il campionato di C2 avendo un assist-man di lusso: Giovanni Roccotelli”.

Un giocatore, con un passato nell’Ascoli, inventore negli anni 70 del colpo denominato ‘rabona’, reso celebre nel mondo alcuni anni dopo da Diego Maradona. “Roccotelli crossava, io segnavo e la squadra volava”.

Tra le stagioni da incorniciare c’è quella di Potenza (91/92) con la vittoria nel campionato di C2. Nella città lucana ancora oggi lei è ricordato per il suo devastante sinistro, terrore di tanti portieri. “Contro il Siracusa misi a segno una doppietta, con una rete da cineteca che venne salutata da un grande boato di gioia dei tifosi. Ricordo anche la stagione 89/90 a Chieti dove segnai 14 reti. Purtroppo la promozione quell’anno ci sfuggì nello spareggio contro la Ternana”.

Quali sono gli allenatori che più ricorda ? “Direi Di Somma, Del Neri, Silva ma anche Palugani, Volpi e Giammarinaro. Bravi tecnici, ottime persone”. Qual è il suo bilancio da calciatore ? “E’ più che positivo, ho lasciato ovunque bei ricordi ai tifosi delle squadre in cui ho militato”. Una carriera conclusasi nel ’98. “La mia ultima annata fu a Benevento, poi ho appeso le classiche scarpette al chiodo. Oggi mi occupo di gestire alcuni immobili per le vacanze e coltivo la mia grande passione per la pittura che mi ha già dato delle belle soddisfazioni”.

Prendendo la macchina del tempo e andando a ritroso quali sono i ricordi che le vengono subito in mente? “Dell’infanzia mi torna subito la spensieratezza. Ringrazio mio padre, persona molto conosciuta a Pachino essendo stato per tanti anni il custode dello stadio Brancati. Mi faceva palleggiare con un pallone appeso al muro con un chiodo. Completati i compiti, andavo ad allenarmi. Una volta contai oltre mille palleggi di testa e di piede, da fermo e in movimento. Se io e mio fratello Cristian siamo diventati calciatori professionisti lo dobbiamo a nostro padre”.

E tra i giovani di oggi qual è l’approccio con il calcio ? “In giro vedo purtroppo poca voglia di sacrificarsi tra i ragazzi. Tanti si illudono che basta poco per arrivare a buoni livelli. Sbagliato. Senza impegno ed applicazione costante fai brutta figura ovunque. I giovani preferiscono rimanere sempre connessi, coltivando l’illusione di poter fare tutto con uno smartphone. Il risultato è un aumento esponenziale di noia e sedentarietà tra i ragazzi. Ma si può ancora invertire questa tendenza”.

Sergio Taccone

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