Gazzetta del Mediterraneo

IL DERBY DI PORTOPALO CHE SAREBBE PIACIUTO A SORIANO

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IL DERBY DI PORTOPALO CHE SAREBBE PIACIUTO A SORIANO
26 dicembre
13:06 2018

La prima stracittadina entrata nella leggenda del calcio portopalese.

di SERGIO TACCONE. Il ricordo della prima stracittadina calcistica di Portopalo, il comune siciliano situato all’estremità sudorientale della Sicilia, al di sotto del parallelo di Tunisi. All’inizio degli anni 80, in questo microcosmo di 3 mila anime, per alcune stagioni si fronteggiarono, nel campionato di terza categoria, l’Us Portopalo e la Polisportiva Capo Passero. La prima sfida fu epica, degna di un racconto dello scrittore argentino.

 

Di che cosa parla il libro? Di calcio?
No. Parla dei goal che uno si perde nella vita.
Del calcio degli scarpini rattoppati, della passione, della poesia e dei sogni …
Storie di calcio, come la vita, piene di risate e di pianti, ricordi e speranze, pene ed esaltazioni.

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Questo racconto non poteva non cominciare con le parole di Osvaldo Soriano, il grande scrittore argentino, nume tutelare dei cercatori di storie di futbol, stella polare dei bracconieri di cuentos dove la palla di cuoio è il centro di tutto. Erano i primi Anni 70 quando a Portopalo di Capo Passero, piccolo comune marinaro dell’estremità sudorientale della Sicilia, ultima propaggine di terra geograficamente posta al di sotto del parallelo di Tunisi, arrivò l’arbitro Concetto Lo Bello di Siracusa, una delle giacchette nere più importanti nella storia del calcio italiano. Venne ad inaugurare la sede della locale associazione sportiva, nei pressi del centro cittadino. La terza categoria, ovvero l’ultima serie dei dilettanti, vide in campo la squadra del Portopalo dalla prima metà di quella decade, in un periodo in cui il paese non aveva ancora conquistato l’autonomia amministrativa dalla vicina Pachino.

La compagine portopalese faceva parte del girone provinciale siracusano. Allora vigeva una consuetudine: la squadra di casa doveva sostenere le spese di quella ospite. Centomila lire circa, una somma utile per pagare almeno il carburante alle macchine che trasportavano i giocatori. Il Portopalo era sempre di scena in trasferta per la mancanza del campo. Mettiamola così: Eupalla, il dio del football creato dalla penna di Gianni Brera, quando inventò il calcio ignorò quel minuscolo puntino nell’universo, ignoto a moltissimi, posto all’estremo lembo sudorientale della Sicilia.

La conseguenza di questa dimenticanza fu il castigo eterno di non avere un campo regolamentare. Ogni domenica, un dirigente portopalese aveva l’ingrato compito di recarsi nelle case di alcuni giocatori per convincerli a partecipare alla partita, litigando spesso con mogli e madri dei calciatori. Doveva così sorbirsi le lamentele di chi non ne voleva sapere di pallone, completini, calzettoni e partite domenicali. Una delle formazioni più forti del Portopalo di terza categoria annoverava alcuni elementi dai piedi buoni: Sebastiano Gennuso, detto Crema, movenze alla Bochini, dribbling fulmineo, abile a trovare il varco giusto per concludere a rete. In una partita dribblò sette giocatori, mise a sedere il portiere e depositò in rete il pallone con il tacco. Salvuccio Campisi, soprannominato  Pipiolo (Pepe), era un’ala veloce e dai buoni fondamentali tecnici mentre Corrado Quattrocchi, Muscuzza, impersonava il regista vero e proprio: spiccata visione di gioco, alta capacità di leggere l’azione in anticipo sugli avversari ed elevata confidenza con il pallone.

Tra i pali stazionava Corrado Scala, soprannominato Testa di Cartone, che alternava prodezze spettacolari ad errori madornali. Un estremo difensore senza mezze misure: parate superlative e papere nel volgere di pochi minuti. In attacco, Pietro Cannarella era la torre, il centravanti veloce e dallo stacco aereo notevole, capace di creare tanti pericoli nell’area avversaria e difficile da marcare. Dalle movenze sembrava Ciccio Graziani anche se, considerata la sua fede calcistica, gli avrebbe fatto più piacere l’accostamento a Spillo Altobelli. A tutto campo svariava Nino Quartarone, un pachinese brevilineo e molto veloce con la palla al piede, dotato di discreti fondamentali tecnici e capace di vedere spesso la porta avversaria. In mediana stazionava Andrea Quattrocchi, tecnicamente meno elegante del fratello ma in possesso di un mix di resistenza e coraggio che lo rendeva efficace nei momenti in cui la partita saliva di tono anche da un punto di vista emotivo.

In quel microcosmo, il calcio non sfuggì al manicheismo e alla logica dei guelfi e ghibellini. Così, tra la fine degli Anni 70 e l’inizio della decade successiva, per alcune stagioni il calcio locale ebbe due società in terza categoria: all’Unione Sportiva Portopalo, colori sociali azzurri, si aggiunse la Polisportiva Capo Passero, in casacca giallonera. La prima decise di puntare su giocatori già stagionati, la seconda si focalizzò sul settore giovanile per poi fare il salto in terza categoria. Con due squadre dello stesso comune, la stracittadina diventò la partita più attesa della stagione. Il resto degli incontri di campionato erano solo una preparazione alla sfida diretta. Epici furono alcuni derby portopalesi che si tennero nell’arco di tre anni. Il bilancio registrò due vittorie della Capo Passero, un successo del Portopalo e tre pareggi.

La partita più bella ed emozionante fu la prima stracittadina, conclusasi con un pirotecnico 3-3. Pubblico delle grandi occasioni: almeno 700 spettatori sugli spalti su un totale di 2.800 abitanti. Un portopalese su quattro quel giorno si trovava allo stadio “Brancati” di Pachino. Nel primo tempo, il Portopalo fu capace di violare per tre volte la rete avversaria. Un divario che già a metà gara sembrò mettere la parole fine sulla partita. Nella seconda frazione di gioco, dopo un netto fallo da rigore in area della Capo Passero, l’arbitro, mosso da umana compassione, non decretò la massima punizione che avrebbe potuto dare il poker di reti al Portopalo.

Alle proteste dei giocatori, il direttore di gara rispose: “State vincendo 3-0 e avete anche il coraggio di protestare? Pensate a finire la partita, ormai avete vinto”. Ma il calcio sa essere sorprendente quando meno te l’aspetti. Basta ricordare, soprattutto ad un milanista, il tracollo del diavolo rossonero contro il Liverpool nella finale di Coppa dei Campioni del 2005. La Capo Passero, con tanti giovani under 18 in campo, tentò il tutto per tutto. I gemelli Marcello e Massimo Vassalli cominciarono a galoppare sulle fasce laterali, Sebastiano ed Enzo Curcio murarono la retroguardia con le buone e, spesso, con le cattive maniere. Peppe Campisi (detto Ponente perché correva quanto il vento) e Alessandro Giuliano, elemento dai piedi buoni e dal carattere fumantino, suonarono la carica, spinti dalla ritrovata vena di alcuni innesti pachinesi in campo. La musica in campo cambiò presto. Di colpo, gli oppressi alzarono la testa, non avendo più nulla da perdere. E se il gol del 3-1 sembrò lo scatto d’orgoglio della squadra umiliata, il raddoppio riaprì la contesa.

Sugli spalti, i tifosi tornarono a seguire con grande emozione le fasi dell’incontro. La squadra che inseguiva trovò energie incredibili mentre l’inseguita, sentendo il fiato sul collo degli avversari, dopo essersi illusa di aver già vinto la partita, rimase paralizzata. Il gol del pareggio fu rocambolesco, degna conclusione di un derby al fulmicotone. Direttamente dalla bandierina del calcio d’angolo, Sebastiano Curcio dipinse una traiettoria avvelenata che beffò Cartone, il portiere avversario. Il pallone, dopo aver superato una giungla di gambe, si collocò in fondo alla rete, lemme lemme, nel modo più beffardo.

Fu il gol del clamoroso 3-3, tra l’entusiasmo in panchina e in tribuna di giocatori, dirigenti e tifosi della Capo Passero mentre sull’altro versante rimaneva solo la voglia di recriminare per una vittoria buttata letteralmente al vento. L’autore del pareggio sorrise di gusto. Curcio riusciva a sorridere anche quando la sua squadra prendeva gol, per sdrammatizzare. Questa volta esultava per una rete che cancellava vincitori e vinti dalla prima storica stracittadina. Sulla panchina del Portopalo, qualcuno ripensò all’episodio del rigore non concesso sul 3-0 e corse ad urlare in faccia all’arbitro frasi irripetibili, riferite alla reputazione della madre e della moglie della giacchetta nera. Per l’intera settimana e per molto tempo ancora, a Portopalo non si parlò che di quel derby, della girandola di emozioni, del rammarico e dell’esaltazione, della gioia e dell’amarezza, in un vortice di emozioni che solo il calcio riesce a dare, a San Siro e al Bernabeu come al Brancati. La stracittadina aveva mantenuto fede alle attese: una partita imprevedibile e capace di sfuggire a qualsiasi pronostico. In una manciata di minuti tutto si era rovesciato.

 

Il settore giovanile portopalese degli anni 80

La durata della Capo Passero in terza categoria fu breve, come una storia d’amore adolescenziale cominciata ad inizio estate e finita prima del ritorno tra i banchi di scuola. L’ultimo anno dei gialloneri, prima della fusione obbligata, fu all’insegna dei giovanissimi. In rosa vennero inseriti alcuni under 16, giudicati già all’altezza della terza categoria: Giovanni Caruso (un mediano dai piedi buoni) e Lorenzo Oliva (portiere di grande affidabilità e dall’ottimo senso del piazzamento). Trovò spazio persino un under 15: Antonio Giuliano, il fantasista, poeta del futbol locale. Il terzetto diede nuova linfa alla squadra che quell’anno si tolse non poche soddisfazioni, battendo compagini più quotate della provincia siracusana. Ogni bella storia, però, ha la sua inevitabile parabola discendente. La giunta comunale di Portopalo, dopo aver promesso contributi economici alle due società ad inizio stagione, si tirò indietro. La fusione fu lo sbocco scelto per contenere i costi. L’alternativa era l’autofinanziamento. I vertici della Capo Passero – da Salvatore Lupo al maresciallo Enzo Giuliano, padre di Antonio e Alessandro, che con tanta abnegazione si erano impegnati sul versante del settore giovanile – furono messi davanti a due opzioni: scegliere un bicchiere di olio di ricino a stomaco vuoto (autofinanziarsi le spese stagionali) oppure bere un sorso d’acqua fresca in una giornata umida (la fusione). Fu il canto del cigno anche del settore giovanile. La dirigenza della nuova società calcistica puntò tutto sulla terza categoria, con una squadra dall’età media bassa, grazie ai giovani provenienti dal vivaio della Capo Passero.

A parte alcuni buoni piazzamenti, il Portopalo non riuscì mai a vincere il campionato, rimanendo sempre in terza categoria. L’annata migliore, a metà degli anni 80, fu vanificata da alcune scriteriate decisioni arbitrali nella fase finale della stagione, che tolsero punti preziosi alla squadra. Il ciclo era ormai alla fine, con un’organizzazione societaria lasciata sempre più all’iniziativa del singolo dirigente: chi voleva allenarsi lo faceva autonomamente e senza alcuno stimolo né programmazione. Per il calcio portopalese fu l’inizio di un lunghissimo letargo, durato più di vent’anni. Ma quel primo derby emozionante lo ricordano ancora in tanti, pietra miliare dell’epica calcistica portopalese.

Sertac

 

(L’immagine dell’articolo non si riferisce alla prima stracittadina ma ritrae due formazioni dell’Us Portopalo – in alto – e della Polisportiva Capo Passero – in basso – dei primi anni 80)

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