Gazzetta del Mediterraneo

Davide Sbrogiò, attore teatrale di prima fila

Davide Sbrogiò, attore teatrale di prima fila
05 settembre
16:56 2017

Lo abbiamo incontrato a Portopalo, parlando del suo percorso artistico e dei suoi progetti presenti e futuri.

di Sergio Taccone

Con il monologo “L’uomo della terza fila” ha registrato ovunque consensi unanimi e un pubblico numeroso in ogni replica. Nel 2015, si è cimentato con il testo di Ibsen “Interno di casa di bambola”, per la regia di Manuel Giliberti e, più di recente, è stato scena con il “Misantropo” di Moliere, con la compagnia del Teatro Stabile di Catania, per la regia di Giovanni Anfuso. Davide Sbrogiò, attore teatrale di grande talento, classe 1969, si è diplomato ventitrè anni fa alla “Scuola di Teatro” dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa (Inda), dimostrando subito di possedere classe cristallina e un bagaglio culturale molto solido. Ha preso parte a diversi spettacoli al Teatro Greco di Siracusa: “Acarnesi” di Aristofane nel ’94, “Elettra” di Euripide nel 2000, “Edipo Re” di Sofocle nel 2004 ed “Edipo a Colono”, sempre di Sofocle, nel 2009. Tra i lavori con il Teatro Stabile di Catania, “La lunga vita di Marianna Ucria” di Dacia Maraini e “Il Maestro e Marta” di Filippo Arriva. Lo abbiamo incontrato recentemente a Portopalo parlando di teatro, ovviamente, ma anche di impegno sociale.

Un lungo percorso il suo.

“Un lungo ciclo che mi ha visto in compagnie teatrali di livello nazionale. Sono stato diretto da registi del calibro di Egisto Marcucci, Franco Però, Piero Maccarinelli, Lamberto Puggelli, Roberto Guicciardini e Walter Pagliaro. Tra le collaborazioni con altri attori mi piace rammentare quelle con Aldo Reggiani, Ivana Monti, Piera Degli Esposti, Monica Guerritore, Paola Gassman, Elisabetta Pozzi, Giorgio Albertazzi, Virginio Gazzolo, Mariella Lo Giudice e Sebastiano Lo Monaco”.

Un cursus honorum teatrale, il suo, di grande spessore. Ma c’è anche un impegno continuo in ambito sociale, con progetti di teatro che hanno riguardato gli studenti e i detenuti.

“Ho seguito e diretto diversi laboratori teatrali in istituti scolastici ed in carcere. Recitando realizziamo sogni di libertà: era questa una delle frasi che faceva parte di un progetto effettuato all’Istituto superiore ‘Arangio Ruiz’ di Augusta e che presentammo all’interno della casa circondariale di Brucoli. Ricordo, era il giugno del 2014, la buona performance dei miei allievi, studenti e detenuti, che allestirono un lavoro di Dario Fo”.

Teatro come via maestra d’integrazione?

“Quel laboratorio teatrale prese il primo premio assegnato dal Senato della Repubblica. Educare alla legalità attraverso il teatro diventa uno straordinario momento di integrazione. Lavorare in carcere è un’esperienza unica che richiede il massimo impegno e dove ci si trova di fronte a realtà come sofferenza, solidarietà e umanità, voglia di riscatto e di confronto”.

Qual è il suo modus operandi con chi è sottoposto a misure di detenzione?

“Prediligo sempre il coinvolgimento dei detenuti. L’esperienza attraverso il teatro diventa anche ricreativa, formativa e comunicativa. Il detenuto si accosta alla recitazione con l’impegno di prendere parte ad un momento in cui esprimere la propria personalità e creatività, in un contesto complesso e difficile. Il teatro diventa, pertanto, un modo efficace di presa di coscienza delle proprie potenzialità espressive e al regista spetta il compito di plasmare e dirigere tutto in modo coerente con il testo da rappresentare”.

Con il monologo “L’uomo della terza fila” lei riflette sulla condizione dell’artista?

“E’ un monologo che, in un crescendo nevrotico e visionario, vede il protagonista riflettere sulla propria frustrazione di musicista e di uomo, condannato ad una vita priva di soddisfazioni, successi e relazioni umane autentiche. Un’esistenza piena di sconfitte e amarezze”.

Questa estate l’abbiamo incontrata a Portopalo dove, nell’ambito della XII edizione del Premio Più a sud di Tunisi, ha letto magistralmente alcuni frammenti dello scrittore argentino Osvaldo Soriano.

“Il calcio come metafora della vita e come ambito per occuparsi anche di storia e letteratura mi interessa molto. Mi sono ritrovato con grandi nomi del giornalismo a ricordare Osvaldo Soriano, scomparso venti anni fa”.

Ci parli di qualche suo nuovo progetto artistico.

“Sto curando l’adattamento di un testo su Martin Lutero, liberamente tratto dall’opera di John Osborne. Sarò anche il regista. Un dramma che debuttò in Inghilterra nel 1961, incentrato sulla figura dell’iniziatore della riforma protestante. Ne narra la vita a partire dal momento in cui entrò nell’ordine agostiniano. Un lavoro che venne rappresentato anche a Broadway, ottenendo prestigiosi riconoscimenti. In Italia, il testo venne pubblicato da Giulio Einaudi a metà degli anni Sessanta. Spero di essere pronto presto con questo nuovo lavoro da portare in scena”.

Ci dia una sua definizione di teatro.

“Fare teatro significa credere in una delle più grandi espressioni del pensiero umano, compiendo un percorso educativo e civile che valorizza l’uomo e la sua storia. Citando Nietzsche, mi piace ricordare che le aquile volano sempre da sole”.

Sertac

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